6 Dicembre 2024

Alessandro Pontremoli a NID Platform: la danza tra arte e pratica

Consigliamo di usare delle cuffie e di unire all’ascolto la lettura del testo trascritto qui sotto per seguire meglio l’interessante contributo di Alessandro Pontremoli, docente all’Università di Torino e membro della Commissione Consultiva Danza del MiBACT.

Il concetto stesso di estetica presuppone coordinate storiche, sociali, culturali, filosofiche, che a mio parere non determinano più il punto di incontro con una pratica, la danza,  che ci ostiniamo a definire ancora artistica solo per inerzia e conservatorismo lessicale. Se vogliamo addentrarci sulla fotografia del presente, e del presente nazionale, qui ancora siamo imprecisi, nel definire un territorio che nell’ambito della danza forse comincia solo oggi a presentare caratteristiche identitarie storiograficamente definibili. Occorre quindi fermarci prima dell’aggettivo, e rimanere fermi al concetto di pratica, e da qui, da questo ancoraggio minimo ma concreto, ripartire per cercare di nominare di volta in volta la pratica della quale stiamo parlando. E questo perché arte ed estetica sono concetti che ereditiamo da una condizione romantica e borghese dell’agire poietico, che hanno funzionato unicamente in un periodo circoscritto tra Sette e Ottocento, e per di più in un territorio limitato della società occidentale in formazione. Secondo questo pensiero, esiste l’arte, ed essa ha il compito di dire l’indicibile o di annunciare, apocalitticamente, che c’è dell’irrappresentabile. Tuttavia questa visione, in verità assai poco rivelativa, dimostra tutta la sua indigenza di fronte all’avanzare della necessità, piuttosto, di attestare, testimoniare, l’inattestabile. Gli eventi inauditi e gravissimi, e i gravissimi drammi sociali del presente, obbligano ad un ripensamento radicale del rapporto tra poiesis e praxis, al punto da sovvertirne la gerarchia. [Read more…]

Fabio Acca a NID Platform: Stare di lato. Discorso esoterico per una danza anfibia

Consigliamo di usare delle cuffie e di unire all’ascolto la lettura del testo trascritto qui sotto per seguire meglio l’interessante contributo dello studioso Fabio Acca.

Fabio Acca è studioso delle arti performative e ci presenta uno speech intitolato “Stare di lato. Discorso esoterico per una danza anfibia”.
Fabio Acca mette al centro una nuova figura non accademica ovvero i “Nuovi Cogitanti” e presenta tre parole che a suo avviso delimitano il concetto contemporaneo della danza di oggi: “lateralità”, “paesaggio” e “realismo inverso”.

“Nuovi Cogitanti” individua una nuova figura nel campo dell’arte che non si piega mai a una gerarchia del razionale, contemplando semmai grazie all’esercizio retorico, lo spazio si pone tra pratica e pensiero: Fabio Acca appartiene a questa forma di saperi di cui le accademie si sono col tempo liberate e che predilige un punto di vista selettivo, non solo storico e accademico, piuttosto curatoriale.
Questo serbatoio anarchico lanciato sul tentativo di confini del linguaggio consente di praticare qualcosa che Fabio Acca ha imparato a definire la “Lateralità”.
Accanto alla Lateralità, a delimitare la danza italiana, è anche un’altra nozione: “paesaggio”. Nel lessico dei coreografi svuota l’automatismo della tradizione italiana di perfezione corporea leonardesca della figura umana per lasciare piuttosto un disordine della scena vissuta come una città de-idealizzata, priva di ordine gerarchico se non la membrana spazio temporale in cui si pone l’azione. Questo comporta una sorta di neo-medievalismo ovvero la riformulazione in chiave contemporanea di un’estetica in cui il rapporto tra realtà e rappresentazione non è giocato nei termini di una retorica di una prospettiva ma in una visione mobile, a-centrica appunto laterale. Ovvero si consente allo spettatore di entrare da una porta di servizio e non da quella monumentale e principale.
Gli artisti che coltivano la lateralità della danza sono dotati di una percezione sferica, non lineare e ci insegnano ad accogliere, nel nostro orizzonte di pensiero sulla danza, fenomeni e rappresentazioni che non puntano alla rivelazione di un soggetto o di una gerarchia.
Arriviamo all’ultima parola prescelta da Fabio Acca: “realismo inverso” con la quale si riferisce alla tendenza che pone al centro la realtà non come serbatoio didascalico al servizio della rappresentazione, ma al contrario che tende a una doppia funzione quando si parla di danza e cioè danza non necessariamente portatrice di senso e danza non necessariamente portatrice di movimento, ma piuttosto introduce la visione di una danza con la tecnica del movimento del pensiero.